Fuoco (terza lettura)

Questo testo è stato pubblicato per la prima volta in rete sul sito di Zenit il 22 marzo 2000 con lo pseudonimo Enrico Maria Segni ed è ancora disponibile sul mirror.

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[L’Alchimia si fonda] “...sulla permutazione della forma da parte della luce, fuoco o spirito.” (DP I, 71) 
“La chimica è incontestabilmente la scienza dei fatti, mentre l’alchimia è quella delle cause... [questa] tenta di penetrare il misterioso dinamismo che presiede alle loro trasformazioni... ci permette di intravedere Dio attraverso le tenebre della sostanza.” (DP I, 79) 
 “... L’agente elementare fuoco senza il quale non si può realizzare nessuna combinazione...” (DP I, 81) 
[Il fuoco] “..nella sua essenza spirituale... s’introduce nei corpi nell’istante stesso in cui appaiono sul piano fisico.” (DP I, 83) 
“Questo principio universale... anima la sostanza, quale che sia il regno cui appartiene. Quindi si manifesta intorno a noi, sotto i nostri occhi, sia con le proprietà nuove che la materia ne deriva, sia con i fenomeni che ne accompagnano le emanazioni. La luce - fuoco rarefatto e spiritualizzato - possiede le stesse virtù e lo stesso potere chimico del fuoco elementare e grossolano.” (DP I, 84) 
(N.B. I richiami sono: DP 1, Les Demeures Philosophales, Tome I. DP 2, ibidem, Tome 2. Il numero di pagina fa riferimento all’edizione del 1965. MC, Le Mystère des Cathédrales, edizione del 1964. Le citazioni derivano tutte da traduzioni fatte ex novo sui testi originali).
Ricreazione

La parola “fuoco”, in francese feu, racchiude nel greco phúo tutti i significati di produzione, procreazione e generazione delle cose. Il fuoco è eminentemente ciò che fa nascere, che mette al mondo, che porta alla luce. Non si ha nascita senza fuoco generatore. Quindi giustamente gli è molto simile phôs, luce, lume, splendore, gloria, ma anche fiamma, che del fuoco è la manifestazione più evidente. Il fuoco è ciò che illumina per eccellenza. Non si ha illuminazione senza fuoco. È lui che inizia ai misteri, il vero Maestro. L’alchimista è philosophus per ignem, filosofo per mezzo del - o grazie al - fuoco.

Phós è uomo, talvolta eroe, ma sempre uomo mortale. In nulla al mondo si cela tanta luce quanta negli esseri umani. Montfaucon de Villars nel Conte di Gabalis riassume così tutta l’Opera:

[...] dobbiamo purificare ed esaltare l’elemento del fuoco che sta in noi e rialzare il tono di questa corda allentata. Basta concentrare il fuoco del mondo con specchi concavi in un globo di vetro; questo è l’artifizio che tutti gli Antichi hanno nascosto religiosamente e che il divino Teofrasto (cioè Paracelso) ha scoperto.
Se ora ci spostiamo sul vocabolo greco, scopriamo nuovi percorsi anagogici. Pûr, fuoco, si collega a puráme, messa, mietitura: ecco il vaglio, van in francese, cioè il vento che separa il grano dal loglio, il sottile dallo spesso (la terribile mietitura della fine del ciclo).

Un’altra assonanza getta nuova luce sull’iconografia esoterica, per esempio su certe immagini del Mutus Liber: púrgos, torre, recinto, baluardo, muro con torri, e anche purgóo, fortifico, e púrgoma, mura turrite, fortezza.

Sulla facciata della chiesa cattedrale di Amiens si vuole che una formella rappresenti Cristo mentre attraversa Gerusalemme. In effetti si vede un uomo di una certa età, rivestito di toga, che passa tra una fortezza turrita e una chiesa tenendo in ciascuna mano quelle che potrebbero sembrare due lampade. Passeggiata notturna di Gesù in una città che, massimo anacronismo, avrebbe già avuto chiese cristiane: gli eruditi non ci dicono da quale misterioso e apocrifo vangelo sia stato ripreso questo episodio. Resta per noi il fatto, molto più interessante, che se quelle due lampade sono interpretate come pesi di bilancia, come in effetti appaiono, sono tenute come se si volesse indicare una proporzione, che potremmo facilmente immaginare di più parti a una (tuttavia, si noti, i due pesi sono stati rappresentati dal lapicida assolutamente identici).

Incuriosisce pûros, tufo calcareo, concrezione stalattica, ma anche concrezione pietrosa della vescica, come se il frequente riferimento nei testi ermetici al dolore dei calcoli biliari - si veda ad esempio l’inizio del testo di Basilio Valentino - volesse in qualche modo ricondurci al tema igneo. Certo, qui viene più facilmente alla mente Eudosso che nel dotto trattatello di Limojon de Saint-Didier ci insegna che il fuoco dei Filosofi è della natura della calce.

La sarabanda cabalistica potrebbe continuare, perché ha qui uno dei suoi terreni più fecondi. Ci torneremo nei passi appropriati, ma vogliamo ancora accennare al francese pur, puro, e a pur-gation, pur-ger, purge, così simili peraltro all’italiano, con tutti i significati connessi all’azione purificante del fuoco e alle sue capacità di eliminare le feci in eccesso.

Eppure pourri (pronuncia “puri”) vuol dire corrotto: il fuoco è anche l’agente che provoca la putrefazione, ma questa è, in un certo senso, una corruzione benefica e necessaria per una purificazione successiva, quindi non si ha contraddizione.

Vedremo altrove i legami col fimo, per ora concludiamo col fuoco del fuoco, in greco pûr purós, la porpora, fuoco per eccellenza, conclusione definitiva dell’Opera Fisica. Resta il fatto che nell’Opera i Fuochi sono più di uno, come ci dice per esempio Ripley nei suoi Assiomi Filosofici:

Sono quattro i tipi di fuoco che devi conoscere: il Naturale, l’Innaturale, quello Contro Natura e quello Elementale che infiamma il legno. Noi ci serviamo di questi fuochi e non di altri. Il Fuoco di Natura sta in tutte le cose ed è il terzo menstruo. Quello Innaturale, detto imperfetto, è il fuoco di ceneri e dei bagni per la putrefazione, e senza di lui non si porta nulla sino alla putrefazione. Il Fuoco Contro Natura deve tormentare i corpi, è il drago che brucia con violenza, come il fuoco dell’inferno. Fai un fuoco nel tuo vetro, che bruci i corpi più efficacemente del fuoco Elementale.
Di questi quattro fuochi parla Maier nel XVII Emblema dell’Atalanta Fugiens. Il titolo dice “Una quadruplice ruota regge quest’opera di fuoco”, che nell’epigramma così è descritta:
Tu, che vuoi imitare l’opera di Natura, quattro sfere devi cercare, che agita all’interno un fuoco lieve. La più bassa ricordi Vulcano, la seconda indichi bene Mercurio, la terza abbia la Luna, la quarta, Apollo, sia anche intesa come fuoco di natura. Quell’incatenamento guidi nell’arte le tue mani.
Nel commento, riprendendo Ripley, Maier afferma che il fuoco naturale coagula, quello innaturale dissolve, il fuoco contro natura corrompe e quello elementale fornisce il calore e il primo movimento. Aggiunge che si concatenano secondo un ordine invariabile per cui il secondo è spinto all’azione dal primo, il terzo dal secondo, il quarto dal terzo e dal primo insieme, per cui ognuno di loro è di volta in volta attivo e passivo. I Maestri si divertono a dare mille nomi ai loro fuochi, nomi che sarebbe davvero ingenuo prendere alla lettera, mentre in realtà sono descrizioni delle diverse manifestazioni di un unico agente. Alcuni elenca Dorn nelle sue Congeries Paracelsicae, e può essere interessante, e curioso, leggerli:

Il fuoco in Alchimia si manifesta su diverse materie e con diversi effetti. Ci sono le fiamme di legna, che chiamano fuoco vivo, e con cui si calcinano o riverberano i corpi di tutti i metalli e delle altre cose. C’è il calore continuo della candela o della lucerna, con cui si fissano le cose volatili. C’è il fuoco di carboni, con cui si cementano (calcinano), colorano e purgano dai loro escrementi i corpi (questo inoltre porta oro e argento al massimo grado di qualità, imbianca Venere e insomma rinnova tutti i metalli). C’è, per un’altra operazione, la lamina infuocata di ferro, su cui si esaminano le tinture. C’è il calore eccitato col fuoco in mezzo alla limatura di ferro. C’è quello nelle ceneri. C’è quello nella sabbia. C’è quello nel bagno del Mare o di Maria (come si dice), con cui si fanno diverse distillazioni, sublimazioni e coagulazioni. C’è il bagno di rugiada, che si chiama anche vaporoso, con cui si fanno molte soluzioni di cose corporee. C’è il ventre equino, in cui si fanno specialmente putrefazioni e digestioni. Poi, oltre a tutti questi, c’è il fuoco invisibile, cioè quello dei raggi del Sole, che si manifesta con i suoi effetti mediante un cristallo o uno specchio, e che gli antichi non hanno menzionato...
Non possiamo infine non citare Artefio che nel suo preziosissimo Libro Segreto riprende più volte questo tema igneo. Uno dei paragrafi più importanti dice:
Abbiamo propriamente tre fuochi, senza i quali l’arte non si può compiere. Colui che lavorasse senza quelli si affaticherebbe invano. Il primo è di lampada. È continuo, umido, vaporoso, aereo e artificioso da trovare, perché la lampada deve essere proporzionata alla chiusura, e in questa lampada va usato molto ingegno, cui non arrivano coloro che hanno dura cervice, perché se la lampada non è geometricamente e adeguatamente adattata al forno, o per difetto di calore non vedrai i segni attesi al momento giusto, e partendo perderai ogni speranza in un’attesa troppo lunga, o se è troppo veemente brucerai i fiori dell’oro e ti lamenterai tristemente delle tue fatiche. Il secondo fuoco è di ceneri, dove è posto il vaso sigillato ermeticamente, o piuttosto è quel calore dolcissimo che circonda il vaso che proviene dal vapore temperato della lampada. Questo fuoco non è violento se non è troppo eccitato, è digerente, alterante, si prende altrove che dalla materia, è unico, è anche umido e secco. Il terzo è il fuoco naturale della nostra acqua. Perciò è chiamato fuoco contro natura, perché è acqua e tuttavia essa fa sì che l’oro diventi vero spirito, ciò che il fuoco comune non potrebbe fare. Questo è minerale, uguale, partecipa dello zolfo, rompe, congela, dissolve e calcina tutto, è penetrante, sottile, non bruciante, è la fontana in cui si lavano il Re e la Regina, di cui abbiamo sempre bisogno, all’inizio, nel mezzo e alla fine. Degli altri due fuochi invece non abbiamo sempre bisogno, ma solo talvolta...  
Si sarà notato che Artefio non parla del quarto fuoco, quello elementale, che descrivevano gli altri, Maier in particolare. Questo è alla base stessa della nostra manifestazione. Proprio per questo motivo la maggior parte degli autori lo dà per scontato. Ora, da qui partono considerazioni che toccano il grande arcano del Fuoco Segreto o Filosofico, su cui Fulcanelli torna così spesso nelle sue opere. Non mancherà perciò l’occasione di riprendere l’argomento, e allora, tra gli altri Maestri, leggeremo anche il famoso Pontano che gli ha dedicato un apposito libretto.