Schwaller
de Lubicz nel suo minuzioso studio sul tempio di Luxor e sulla
simbolica egizia si ferma a lungo a riflettere sull’immagine
dell’uomo privo di calotta cranica. Ne ritrova il segno a Bisanzio
dove i santi sono rappresentati con la testa piatta, e in occidente
nella figura di Nicodemo, l’uomo della seconda nascita, che
tiene in mano la propria volta cranica. Vede lo stesso significato
nelle corone regali che separano l’alto dal resto della testa.
Conclude che tutto ciò esprime l’uomo realizzato, illuminato, che
si è liberato dal giudizio personale, discorsivo, costruito per
opposizione, e che ormai si muove per impulso universale, o divino,
intermediario perfetto tra Cielo e Terra, ubbidiente al pensiero
cosmico senza esserne distolto dal proprio pensare.
Si
pone, Lubicz, all’interno di un’ampia e antichissima tradizione
che vede nella mente conscia, involucro e sostegno dell’io
discriminante, non uno strumento utile di conoscenza e di guida
all’azione, ma un vincolo da cui liberarsi, un’illusione
drammatica e pericolosa, un impedimento all’accesso a stati
ontologicamente più elevati, un nemico ambiguo e mortale.
Patanjali,
nel primo dei sûtra in cui raccolse remoti insegnamenti,
aveva già espresso nel modo più semplice il tema e l’obiettivo:
lo yoga è l’arresto delle funzioni mentali. Nel IV sûtra
spiega il problema e la sua origine: altrimenti (l’anima)
assume la stessa forma delle funzioni mentali.
La
mente (citta, buddhi) è fonte e causa di nescienza, cioè
dell’universale ignoranza innata che identificando l’attività
della mente con quella dell’anima genera sempre nuova illusione,
che a sua volta produce maculazione karmica, fonte della
sofferenza che caratterizza la vita umana. Solo impedendone
l’attività (cittavrtti) possiamo uscire da questo circolo
perverso e salvarci dal dolore esistenziale.
Molti
secoli dopo, in tutt’altro contesto psicologico e culturale, san
Giovanni della Croce diceva:
in breve tutti i più grandi inganni del diavolo ed i maggiori mali che fa all’anima, penetrano attraverso le notizie e i discorsi della mente.
Un
nemico forte e temibile o lo si imprigiona in ceppi indistruttibili o
lo si uccide.
Molti
hanno preferito la prima via, come più sicura e meno rischiosa,
anche se più lunga e graduale.
Si
vuole allora trasformare la consueta, inevitabile, ridda diabolica e
stancante di pensieri involontari in una struttura limpida e
ordinata, controllata da una volontà impeccabile.
L’esempio
più facile è il mandala, dove il cosmo, o meglio il fantasma
chimerico che noi ci immaginiamo, pauroso caos psichico, informe e
magmatico, si struttura secondo direzioni privilegiate, assume forme
geometriche semplici e organizzate, e nei quadrati, nei cerchi, nei
colori che si succedono secondo regole inflessibili, la mente è
costretta a placarsi, congelata in una visione dominata dai legami
che la figura le impone.
Ricorda
Tucci che
disegnare un mandala non è cosa semplice; è un rito che mira a una palingenesi dell’individuo e ai cui particolari questo deve partecipare con tutta l’attenzione che l’importanza del risultato richiede: un errore, una svista o una dimenticanza rendono l’opera inefficace… perché ogni manchevolezza è il segno della disattenzione del sacrificante, indica che egli non vi prende parte con tutta la concentrazione e il raccoglimento dovuti.
Ma per chi abbia
compiuto rettamente il rito si apre la possibilità dell’esperienza
folgorante di una luce interiore, gnosi liberatrice che la mente
offuscava
Non
diversamente operava il monaco ortodosso dipingendo l’icona che,
insegna Florenskij,
ha lo scopo di sollevare la coscienza al mondo spirituale, di mostrare “spettacoli misteriosi e soprannaturali”.
Ben poco o nulla è lasciato alla libera creatività dell’artista.
Diceva il Settimo Concilio Ecumenico:
al pittore spetta soltanto l’aspetto tecnico dell’opera, ma tutto il suo ordinamento (diátaxis) chiaramente dipese dai santi Padri.
Gli
insegnamenti cinesi sono meno rigidi, più dolci, soffusi di immagini
poetiche. Spiega Schipper che l’adepto dovrà costruire mentalmente
il proprio corpo come fosse un paese, fondato sulla geografia sacra
taoista, e abitato da tutti i suoi dei: la testa sarà una catena di
montagne che racchiude un lago, in mezzo al lago un palazzo, e così
via, giù giù, sino a sotto l’ombelico dove vedrà un paesaggio
meraviglioso, il Campo di Cinabro, la dimora dell’embrione che darà
origine al nuovo corpo immortale.
I
maestri del neidan, la cosiddetta “alchimia interiore”,
seguono secondo la Robinet simili metodi, ma qui la mente deve
riprodurre immagini di operazioni che l’alchimista compie in
pratica al forno, sempre come avvenissero nel proprio corpo. Nel
Libro dell’Armonia Centrale, Li Daochun spiega:
Non c’è altro principio: basta dominare il corpo e la mente [lett. il cuore], è cuocere il Piombo e purificare il Mercurio. Gli appellativi diversi si riducono [a significare] che si dominano le pulsioni con la natura profonda ed è tutto. Quando la natura è quieta e le pulsioni sono seppellite, si vede luminosamente il fondamento, si abbraccia la Radice e si ritorna al Vuoto… È ciò che si chiama il compimento del Cinabro e, per metafora, l’embrione della liberazione.
Più
suggestivi i Versetti del Risveglio della Verità di Zhang
Boduan, che iniziano da una famosa citazione del Daode jing:
“Vuotare la mente e riempire il ventre” ha un senso molto profondo
ma per vuotare la mente, occorre una mente che discerne,
e niente vale più, per sublimare il Piombo, che riempire prima il ventre,
e apprendere a conservare la Sala piena d’oro.
Figure di illuminati
dalla pancia obesa, seduti in stato di calma fissità,
rappresenteranno all’iniziato chi abbia realizzato il precetto.
Anche
Sant’Ignazio di Loyola insegnava a costruire mondi e luoghi per i
suoi Esercizi Spirituali, che dovevano servire a conseguire il
fine per cui l’uomo è stato creato, lodare, riverire e servire
Dio nostro Signore e salvare, in questo mondo, la propria anima.
Nella premessa al primo esercizio prescrive:
Il primo preambolo consiste nella composizione visiva del luogo. Qui è da notare che nella contemplazione o meditazione visiva… la composizione consisterà nel vedere con la vista dell’immaginazione il luogo materiale dove sta la cosa che voglio contemplare...
Il
suggerimento è piuttosto libero, si precisa meglio nel quinto
esercizio dove la composizione consiste nel vedere con la vista
dell’immaginazione la lunghezza, l’ampiezza e la profondità
dell’inferno.
Fondamento
resta comunque la preghiera e il santo, che non ignorava i benefici e
utili effetti del respiro guidato, ben noti agli orientali che li
codificarono minuziosamente, insegnava:
il terzo modo di pregare consiste nel fatto che ad ogni respirazione o movimento respiratorio si deve pregare mentalmente pronunciando una parola del Padre Nostro o di qualche altra preghiera che si recita in modo tale che una singola parola venga detta tra un respiro e l’altro. Mentre poi dura il tempo tra un respiro e l’altro, si badi principalmente al significato di tale parola, o alla persona cui si rivolge la preghiera.
Sant’Ignazio
conosceva bene i rischi del controllo mentale che sfugge facilmente
all’obiettivo di pura illuminazione, o di spiritualità devota,
gonfiando l’uomo di presuntuoso e illusorio senso di potenza, per
cui invece di allontanarne gli inganni del mondo lo seduce con i
fantasmi della maya allucinante. Nel “Direttorio autografo”
scrive:
È da avvertire che se uno non obbedisce a colui che propone gli esercizi e volesse procedere a suo criterio, non conviene proseguire nel dargli gli esercizi.
Proseguì
a suo criterio Giordano Bruno, per troppa superbia o
sciagurata sfortuna. Fingendo di praticare una tecnica mnemonica
voleva fissare la mente ad accogliere immagini di demoni e altri
segni celesti, convinto di ottenerne influenza sul mondo e sui
fenomeni naturali. Il domenicano più che nell’eresia era immerso
in un’allucinazione perversa, incubo di assurde quanto insensate
fantasie. Pensava che il Cielo con tutti i suoi influssi si ripetesse
nella mente umana, e che riordinandola e fissandola secondo nuove
aspirazioni si potesse attrarre l’influsso astrale da utilizzare
magicamente. Scrisse nello “Spaccio della Bestia Trionfante”:
Disponiamoci prima nel cielo che intellettualmente è dentro di noi: e poi in questo sensibile che corporalmente si presenta agli occhi… se cossi renderemo nouo il nostro cielo, noue saranno le costellationi, et influssi, noue l’impressioni, noue fortune, perche da questo mondo superiore pende il tutto...
Nel
“De Umbris idearum” aggiunge:
C’è nella tua primordiale natura un caos di elementi e numeri, che non esclude peraltro l’ordine e la serie… Io ti dico che se tu contempli tutto questo con attenzione, tu potrai conseguire un’arte figurativa tale che rafforzerà non solo la memoria, ma anche i poteri dell’anima, in modo mirabile.
Per
analoga superstizione il tantrico costruirà accuratamente lo yantra
della divinità prescelta, perché questa scenda e si manifesti
disposta ai suoi ordini. La presenza divina sarà assicurata grazie a
formule appropriate – che anche Bruno approvava – mantra
accompagnati da gesti opportuni (mudra, sigilli).
A un
livello superiore ci si servirà solo di lettere o sillabe. Spiega
Tucci:
la sillaba, il fonema è la segreta essenza o il “seme” della divinità. Essa è così intimamente legata a questa che basta su di lei concentrarsi perché l’immagine sia evocata.
Si apre
qui una visione in cui uno schema alfabetico riproduce quello
cosmico, che da tre lettere dipana tutto il suo divenire. Insegna
Abhinavagupta nel “Tantrasâra” che
tre sono le potenze principali del Signore, ossia l’Altissima, la Volontà e l’Espansione. E queste sono le tre cogitazioni a, i, u. Tutto il successivo spiegarsi delle potenze deriva da questa triade soltanto.
Schemi
analoghi ritroviamo nella Kabbalah, dove le strutture geometriche
delle sefiroth inducono a riflettere su modelli simili
a certi yantra. Qui alef, mem, šin
saranno le tre lettere madri che presiedono alla formazione
del mondo, e nel gioco dei pentacoli magici i signori del Nome
(ba‘ale Šem) si convinceranno di essere operatori di
incredibili prodigi. Ne resteranno tracce sbrindellate negli
occultisti ottocenteschi, specialmente di scuola francese.
Non cercava prodigi
né potere Abraham Abulafia nella “Hokmath ha Tseruf”, la scienza
della combinazione delle lettere. Il suo scopo, come spiega Scholem,
era quello di liberare l’anima dai nodi che la legano per
raggiungere la devekuth, la perfetta unione col divino. A
trentun’anni aveva vissuto un momento spontaneo di estasi, da cui
aveva tratto conoscenze e visioni e la convinzione che l’oggetto
perfetto su cui meditare per riconquistare quello stato beato fosse
l’alfabeto ebraico. Ci ha lasciato delle istruzioni per le
preparazioni necessarie alla meditazione e all’estasi:
Renditi pronto a dirigere il tuo cuore su Dio solo: Purifica il tuo corpo e scegli una casa solitaria dove nessuno senta la tua voce. Siediti nella tua celletta e non rivelare il tuo segreto a nessuno. Se puoi fai questo di giorno nella tua casa, ma è meglio se lo compi di notte. Nel momento in cui ti prepari a parlare al Creatore e se desideri che egli ti riveli la sua potenza, abbi cura di astrarre tutta la tua mente dalle vanità del mondo… Ora comincia a combinare qualche lettera o molte, a spostarle e a combinarle sino a che il tuo cuore sia caldo… E quando senti che il tuo cuore è già caldo… quando sei così preparato a ricevere l’influenza della potenza divina che penetra in te, usa tutta la profondità del tuo pensiero a immaginare nel tuo cuore il Nome e i suoi Angeli superiori, come se fossero degli esseri umani seduti o che stanno vicino a te… [E infine] tutto il tuo cuore sarà preso da un tremore estremamente violento, al punto che penserai che stai per morire, perché la tua anima, rapita per la conoscenza che ha, abbandona il tuo corpo…
Ricorda un brano
famoso di Zosimo di Panopoli, che nel primo libro del “Conto
finale” insegna a un’allieva:
Tu dunque non lasciarti sedurre, donna,… Non ti mettere a divagare cercando Dio, ma resta seduta presso il tuo focolare [oíkade] e Dio verrà da te, lui che è dovunque… Riposa il tuo corpo, calma le tue passioni, resisti al desiderio, al piacere, alla collera, all’afflizione e alle dodici fatalità della morte. E conducendoti così, chiamerai a te l’essere divino, o l’essere divino verrà a te, lui che è dovunque e da nessun parte.
È la seconda via,
che Scholem chiama profetica in alternativa all’altra che definisce
teosofica. Questa non mira alla costruzione di una mente controllata
ma vuole, rotto o eliminato il meccanismo psichico, raggiungere
l’illuminazione estatica il più direttamente possibile.
L’esempio più
noto in Occidente risale a Plotino che nella sesta Enneade ci dice
che
... dobbiamo con uno slancio balzare su verso i primi valori, dopo aver svincolato il nostro io dalle cose sensibili… L’anima deve restarsene nuda di forme, se intende davvero che nulla si insedi lì a far da impaccio alla piena inondante ed alla folgorazione che si riversa su di lei da parte della Natura primordiale… essa deve staccarsi da tutte le cose esteriori, volgersi verso la sua intimità, completamente, non inclinarsi verso qualcosa di esterno, ma estinguendo ogni conoscenza… spegnendo altresì la conoscenza del proprio essere, l’uomo deve immergersi nella contemplazione di Lui… Lassù è il verace oggetto d’amore, cui è dato congiungersi davvero.
Racconta Porfirio
che quattro volte riuscì il suo maestro a raggiungere questa beata
unione, lui una sola, in sessantotto anni. Un evento raro, che si
mantiene a lungo con difficoltà. Anche San Bernardo se ne lagna con
discrezione descrivendo l’unione soavissima, quando fa dire alla
sua anima: introduxit me Rex in cubiculum suum. E spiega:
Là, per poco tempo, cioè circa una mezz’ora, fattosi silenzio in cielo, essa [l’anima] riposa dolcemente negli abbracci desiderati: senza dubbio dorme, ma il suo cuore veglia.
Il santo definì
questa esperienza excessus mentis, che fa superare il
pensiero, abductio interioris sensus. Tertulliano per primo la
chiamò “estasi” (extasis) e la interpretò correttamente
come amentia, cioè assenza di mente.
Qui gli esempi si
possono moltiplicare e dei mistici d’Occidente Zolla ha raccolto
una ricca collezione in molti volumi. Serve, come tutti dicono, una
forte partecipazione emotiva a chi cerchi l’interruzione mentale
improvvisa. Oltre a ciò si sono provate infinite tecniche, dalla
danza frenetica degli sciamani, all’assunzione di droghe e bevande
inebrianti, che ancora Zolla descrive nel “Dio dell’ebbrezza”.
Per il cristianesimo
orientale il monaco Niceforo, maestro di Gregorio Palamas, inventò,
o più probabilmente codificò, l’orazione pura, kathará
proseuché, e la definì apóthesis noemáton,
eliminazione dei pensieri. Si riferisce nei “Racconti di un
pellegrino al suo confessore” che un contadino russo incontrò uno
starets che gli insegnò l’esicasmo. Doveva ripetere nella
sua mente Signore Gesù Cristo, abbiate pietà di me, prima
3000, poi 6000, poi 12000 volte al giorno, infine a volontà. Ne
sarebbero venuti meravigliosi effetti.
Nella mente: si sente la dolcezza dell’amore di Dio, la pace interiore, l’estasi dello spirito, la purezza dei pensieri, una beatificante attenzione a Dio; nella sensibilità: un gradevole calore del cuore, tutte le membra colme di dolcezza, gioiose palpitazioni del cuore, leggerezza e frescura; la vita si fa sentire gradevole, si diventa insensibili alle malattie e all’afflizione; rivelazioni infine: illuminazione dell’intelligenza, penetrazione delle Scritture: si comprende lo Spirito della creazione, si è distaccati dal tumulto terrestre, si riconosce la dolcezza della vita interiore, si è sicuri della prossimità di Dio e anche del suo amore per noi.
Fa eccezione la
scuola Mâdhyamika. Con Nâgârjuna dimostrò che manca qualunque
sensatezza al pensiero umano, spezzando così d’improvviso il
meccanismo mentale non appena se ne percepisca appieno la totale
vacuità. Unita al taoismo generò il ch’an cinese, da cui
lo zen giapponese, e infiniti tesori d’arte e cultura, come
questo piccolo gioiello del poeta Tung-shang:
Neve copiosa in tazze d’argento,aironi celati dalla luna splendente,cose dissimili nell’affine,la confusione è il luogo della conoscenza.
So bene, in questo
breve excursus, di avere trascurato innumerevoli documenti.
Cito, ad esempio notevole, la tradizione sufi e la pratica del
dhikr, o le riflessioni alfabetiche di Jâbir e degli
isma’iliti.
Altre considerazioni
si potrebbero fare, per esempio su certe tradizioni iniziatiche, non
ultima quella del R.S.A.A. che sembra una felice unione delle due vie
descritte. Da un lato, con cerimonie appropriate nel Tempio
massonico, induce la mente a ordinarsi secondo simbologie precise, a
mettersi all’ordine, in accordo col suo motto Ordo ab
Chao. Dall’altra, con rituali di passaggio, provoca le forti
emozioni che possono permettere illuminazioni improvvise,
riecheggiando l’antica richiesta del vate upanishadico: tamaso
mâjyotir gamaya, fammi passare dalla tenebra alla luce.
Resta, a
conclusione, il fatto che nei millenni alcuni uomini abbiano vissuto
esperienze psichiche estremamente simili e gratificanti,
riconducibili a una modifica o a un arresto delle funzioni mentali,
alla loro fissazione. In alcuni si sono manifestate in modo
spontaneo, mentre altri le hanno deliberatamente cercate, e talvolta
ottenute, grazie a tecniche e pratiche peculiari e insolite. Si è
sempre trattato di un evento eccezionale, riservato a un numero
piuttosto limitato di esseri umani. Chi ha vissuto questa esperienza
la definisce quasi sempre in termini religiosi, come incontro col
divino, col sacro, con un dio particolare, con l’assoluto, a
seconda della sua cultura e delle sue convinzioni, e descrive
sensazioni di luce, calore, senso di piacere estremamente intenso,
percezioni cardiache, comprensione ampliata, visione splendida. Ne è
sempre uscito trasformato nell’esistenza, talvolta in senso
negativo, con oscuro senso di potere o egocentrismo esasperato, a
volte invece in modo che potremmo definire positivo, colmo di
sentimenti sereni, compassionevoli, moralmente forti, anche se non
sempre integrabili nella società in cui viveva.
Quest’uomo è
stato spesso fonte di profondi sconvolgimenti sociali, politici e
culturali, dato che per lo più ha sentito l’urgenza immediata di
predicare il messaggio raccolto nel nuovo mondo appena penetrato.
Dunque un fenomeno
importante della nostra struttura mentale, e quindi del nostro
sistema cerebrale, che andrebbe studiato in tutte le sue forme,
peraltro piuttosto costanti come si è potuto verificare già da
questi pochi esempi.
Credo che più che
agli storici delle religioni, o agli psicologi o peggio ancora ai
cosiddetti esoteristi, spetti alle moderne neuroscienze indagarlo,
con scrupolo e attenzione data la sua manifesta potenza e il fascino
che ha sempre esercitato.
Qualcosa si è già
fatto, molto negli ultimi due decenni, da quando sono possibili
indagini non invasive del cervello umano e si è cominciata
l’esplorazione delle reazioni elettrochimiche coinvolte nelle sue
funzioni. Al momento, ma siamo, mi pare, in una fase estremamente
preliminare, secondo alcuni scienziati, cito qui Casale e
Ramachandran, parrebbe che questo evento sia legato a certi
comportamenti del sistema limbico, più correttamente del circuito di
Papez, e ai suoi rapporti con i lobi temporali e col sistema
neurovegetativo, quindi a una delle parti più arcaiche
dell’encefalo. Dunque qualcosa che risale agli albori stessi
dell’essere umano.
Una prima domanda,
ovvia, che ci si è posti, è quale sia, o sia stata, la sua utilità
nel contesto dell’evoluzione. Alcuni (Matthew Alper, Scott Atran)
suggeriscono che questo meccanismo sia servito a sopportare la
consapevolezza umana della mortalità, l’ansia esistenziale. È una
risposta, un po’ stravagante. Personalmente preferisco quella di
Rhawn Joseph, che sostiene che potremmo trovarci di fronte al segnale
di un futuro ulteriore salto evolutivo dell’uomo verso più ampie
capacità neurologiche e funzionali, capacità il cui potenziale
genetico è al momento ancora silente. Comunque questi primi studi di
cosiddetta neuroteologia ci indicano la strada da percorrere,
una strada senza pregiudizi, ma anche, e specialmente, senza timore
di affrontare un’area dell’avventura umana che è sempre stata
circonfusa da un alone di rispetto reverenziale.
Forse è finalmente
giunto il momento di applicare seriamente, in modo severo e
inflessibile, il precetto dato più di due millenni fa all’uomo:
conosci te stesso. Il risultato potrebbe liberarci da
molti problemi che al momento paiono insolubili.
Paolo Lucarelli
Bibliografia essenziale dei testi citati
- R.A.Schwaller de Lubicz, Il Tempio dell’uomo. Roma, 2000.
- Patanjali, Gli aforismi sullo Yoga (Yogasûtra). Torino, 1968
- AA.VV., Satana. Etudes carmélitaines. Milano, 1954.
- Giuseppe Tucci, Teoria e pratica del mandala. Roma, 1969.
- Pavel Fliorenskij, Le porte regali. Milano 1999.
- Stefano Piano, Enciclopedia dello Yoga. Torino, 1996.
- Kristopher Schipper, The taoist body. Berkeley, 1993.
- Isabelle Robinet. Les commentaires du Tao To King jusqu’au VIIe siècle. Mayenne, 1981.
- Isabelle Robinet, Introduction à l’alchimie intérieure taoïste. De l’unité à la multiplicité. Paris, 1995.
- A taoist classic. The book of Laozi. Beijing, 1993.
- Ignazio di Loyola, Gli scritti. Torino, 1977.
- Giordano Bruno, Spaccio de la bestia trionfante. Napoli, 1994.
- Frances A. Yates, L’arte della memoria. Torino, 1966.
- Madhu Khanna, Yantra. Il simbolo tantrico dell’unità cosmica. Roma, 2002.
- Abhinavagupta, Essenza dei tantra (Tantrasâra). Torino, 1960.
- G. Busi ed E. Loewenthal (a cura di), Mistica Ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo. Torino 1995.
- Gershom G. Scholem, Les grands courants de la mystique juive. Paris, 1977.
- Berthelot - Ruelle, Collection des Anciens Alchimistes Grecs. Paris, 1887.
- Elémire Zolla, I mistici d’Occidente. Milano, 1980.
- Plotino, Enneadi. Bari, 1973.
- Etienne Gilson, La théologie mystique de Saint Bernard. Paris, 1976.
- Elémire Zolla, Il Dio dell’ebbrezza. Torino, 1998.
- Irénée Hauscherr S.I., Hésychasme et prière. Roma, 1966.
- Fung Yu-lan, A history of chinese philosophy. Princeton, 1983.
- Nâgârjuna, Le stanze del cammino di mezzo (Madhyamika kârikâ). Torino, 1979.
- Leonardo Arena, Storia del Buddhismo Ch’an. Milano, 1999.
- Roberto Casale, Studio della interazione tra neurovegetativo e sistema limbico: un approccio neurofisiologico all’anima?. Pavia, 1998.
- Ramachandran V.S., The emerging brain. London, 2003.
- Matthew Alper, The “God” part of the brain. New York, 2001
- Scott Atran, The Neuropsychology of Religion, in NeuroTheology, University Press, San Jose California, 2003
- Rhawn Joseph, Mythologies of Modern Science, in NeuroTheology, op. cit.