Muratoria e Arte Regia - Rapporti del Rituale massonico con l’esoterismo ermetico della Grande Opera

La prima versione di questo articolo dovrebbe essere stata pubblicata intorno al 1998, forse su Abstracta e fu successivamente riproposta dal sito Zenit. Qualche tempo dopo l'articolo fu letto dal direttore di Hiram, la rivista del Grande Oriente d'Italia, che chiese a sua volta il permesso di pubblicarlo. Lucarelli concesse il permesso, ma richiese poi che al testo seguisse una rettifica, quel “chiarimento doveroso” che Hiram pubblicò due numeri più tardi ma che qui potete leggere in calce all'articolo originale. Questa versione è sostanzialmente identica a quella già pubblicata sul sito Aneidon [http://goo.gl/NzWkIg]; le note a piè di pagina dello scritto originale sono state contestualizzate tra parentesi quadre per facilitarne la consultazione durante la lettura via browser.

--- --- ---

Muratoria e Arte Regia

Rapporti del Rituale massonico con l’esoterismo ermetico della Grande Opera


Per un innamorato della Dottrina ermetica, la tentazione di analizzare il simbolismo massonico per cercarvi i segni di un rapporto con l’Arte Regia è evidentemente irresistibile. Specialmente se questi conosce lo studio magistrale di Eugène Canseliet sul rito della messa cattolica, cioè universale, come la Medicina cui tende l’alchimista, Phàrmacon Katholikón, secondo il titolo di un pregevole trattato ermetico del XVII secolo. Cederemo quindi a questo impulso, seppure nei limiti evidentemente imposti dalle dimensioni di un articolo, e della scarsezza del tempo–durata che si va riducendo in questa fase del ciclo macrocosmico. Materia sempre più preziosa, in confronto a quell’oro volgare che gl’insipienti continuano a descriverci come lo scopo ultimo dei filosofi ermetici. Esamineremo dunque, con sufficiente brevità, soltanto i rituali di iniziazione ad Apprendista, di passaggio a Compagno e di elevazione a Maestro Libero Muratore, più per dare una indicazione ai curiosi che non per un’esegesi completa, che ci condurrebbe troppo lontano.

Che esista un legame con il simbolismo della Scienza alchemica, il figlio della dottrina non può non notarlo sin dal suo ingresso nel Gabinetto di Riflessione. Il nero delle pareti della cameretta, il Testamento che il candidato deve compiere, l’atteggiamento del Maestro Esperto, sono tutti chiari segni di una morte, in qualche modo utile e benefica, che deve evidentemente precedere qualunque altra operazione. L’alchimista operativo sa che questo primo e fondamentale evento della Grande Opera è il momento della putrefatio, della prima morte della materia, per l’ottenimento, al termine dell’operazione, se questa è stata condotta con saggezza e prudenza, di quel nero più nero del nero – nigrum nigro nigrius – primo dono dello Spirito, e prima, tanto attesa, conferma che la preparazione fu canonica, il tempo e il luogo scelti correttamente, e la teoria ben compresa.

Riferendosi a questo risultato straordinario e fondamentale, che conduce l’artista a superare il primo gradino della scala dei Saggi e gli assicura, col possesso della prima materia, il successo dei lavori successivi, Iside nella Kore Kosmu dice con fierezza:
… Ascolta Horus figlio mio, perché qui tu senti la dottrina segreta che il mio avo Kamephis apprese da Ermete… poi io da Ermete quando egli mi onorò col dono del Nero perfetto… [Frammento di Stobeo n. XXIII: “Estratto dal libro sacro di Ermete Trismegisto intitolato «Pupilla dei Mondo»”, par. 31].
In effetti senza questa separazione del nero nerissimo dal bianco splendente, del Cielo dalla terra, che secondo gli antichi Maestri rappresenta la fine del primo giorno nella loro piccola genesi, secondo la sequenza data da Mosè, l’Opera non può proseguire. Essa infatti non avrebbe ricevuto dall’alto quel sigillo che assicura l’ingresso in un mondo fenomenico più elevato di quello comune. Diventa perciò occasione di stupita meditazione per il filosofo il nome di questa cameretta oscura, poiché egli sa che è proprio il fenomeno della riflessione del segno spirituale, che il bianco riproduce come uno specchio – Speculum Artis – ad assicurargli la perfezione e la semplice esecuzione del resto della Prima Opera:
Quod facile est, si Saturnus in Speculum Martis suam formam aspexerit | che si farà facilmente, se Saturno avrà visto la sua immagine nello Specchio di Marte [Introitus apertus ad Occlusun Regis Paiatium Authore Anonimo Philaleitha Philosopho, in Bibliotheca Chemica Curiosa. Libro III, Sect. III, Substec. IV, cap. VII].
Questa verifica, che si fa in Loggia simbolicamente, mettendo ai voti il testamento del candidato, l’operatore lo farà positivamente dopo aver assestato col martello il sapiente colpo che compie la separazione del nero caput dal bianchissimo corpo, dopo cioè che avrà compiuto quella decapitazione che il segno di Apprendista vuole ricordare come l’atto principale di questo grado:
Testam repudia, nucleumque selige | getta l’involucro, scegli il nucleo [Introitus, op. cit., ibidem].
Dopo questa prima operazione misteriosissima, opera della Natura e non dell’Artista, il Mercurio dei Filosofi deve subire le tre purificazioni successive che lo innalzeranno a quello stato di perfezione che lo rende idoneo al lavoro successivo. Sono tre passaggi, nell’invariabile sequenza che dall’acqua, per il tramite dell’aria, conducono ad un fuoco che non sarà certo quello comune e volgare dei nostri focolari, ma quello più segreto che fu chiamato filosofico. I tre viaggi dei candidato li riproducono con esattezza, e il rumore, che qui descrive le scorie del Mercurio, si attutisce sino a scomparire definitivamente per l’elemento che rappresenta la stessa purezza. L’impresa è ripetuta simbolicamente alla fine di questi lavori, che sono poi in realtà quelli dell’Apprendista, quando il Maestro Esperto ne dimostra con l’esempio le modalità. In effetti è con l’Acciaio dei Saggi, cioè con un martello di ferro, che la pietra va colpita tre volte per la sua estrema purificazione, o squadratura:
Purga tercia vice per ignem ac salem | purga per tre volte, per mezzo del fuoco e del sale [Introitus, op. cit., ibidem].
A questo punto la Prima Opera è compiuta. il suo risultato più importante è ricordato dalla colonna nera, il cui nome rammenta la forza occultata nel caput. Il libro si è schiuso nell’aria a dimostrare che la materia stessa si è aperta, mentre la squadra sovrapposta al compasso ci dice che lo spirito è profondamente imprigionato in quella terra da cui non può più sfuggire: esso è stato finalmente fissato e corporificato.

In ognuno dei tre gradi il candidato sottoposto al rito personifica l’ente principale degli stessi, così come il loro straordinario risultato. Nel corretto succedersi delle acquisizioni avremo dunque prima il Mercurio, poi il Sale, infine il Solfo o, se si preferisce usare la simbologia più antica, l’Acqua, l’Aria ed il Fuoco.

In questo grado quindi egli sostiene il ruolo del Mercurio, ente dalla duplice natura, per metà su un piano, per metà su un altro, quindi ancora estremamente instabile, o volatile come si suol dire più tecnicamente. Perciò il candidato all’inizio è stato reso simbolicamente zoppo, con un piede calzato e uno no, e semi svestito, come si può ancora leggere in questo catechismo dell’inizio del secolo scorso, dove il Maestro Venerabile interroga l’Apprendista sulla sua iniziazione:
«Come siete stato ricevuto?»
«Con tutte le formalità richieste.»
«Quali sono queste formalità?»
«Avevo il ginocchio nudo sulla squadra, la mano destra sulla spada, tenevo un compasso aperto a squadra, con la punta poggiata sul seno sinistro, che era nudo»
[Instructions pour Les trois prerniers grades de la Franc–Maçonnerie]
Per lo stesso motivo, poiché il Mercurio dei Filosofi è bianco, di questo stesso colore sarà il grembiule del grado.

Il passaggio al grado di Compagno fa riferimento a uno dei punti più segreti della pratica, punto che la maggior parte degli Adepti o ha taciuto o peggio ancora, come fa Filalete, ha sostituito con una serie di operazioni chiaramente fittizie ed inventate per gettare lo studioso nella più terribile confusione. Già Fulcanelli, a questo proposito, deplorava l’invidia del misterioso filosofo inglese di cui Pierre Dujols de Valois, nella sua Ipotiposi al Mutus Liber che firmò con lo pseudonimo di Magophon, scrive giustamente:
La pratica di Filalete, presentata in forma amabile e persuasiva, sta fra gli inganni più sottili e più perfidi della letteratura ermetica. Essa tuttavia contiene la verità, ma come il veleno talvolta racchiude il suo antidoto, se lo si sa isolare dai perniciosi alcaloidi [«MutusLiber» avec une hipotypose de Magophon in Bibliotheca Hermetica, E.P. Denoël, Paris 1971, p. 24].
In effetti la preparazione dei Mercurio dei Saggi è propedeutica alla liberazione del Solfo dalla materia che lo tiene imprigionato. Tra i classici, solo Basilio Valentino può dare qualche indicazione sul problema dell’operazione che fu definita dagli antichi calcinatio e che permette di aprire la serratura della prigione del Re.

Si tratta dunque di penetrare nella terra, di praticare positivamente l’assioma maggiore della Scienza Ermetica, a tutti noto, ma da così pochi compreso nella sua concretezza:

Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem, Veram Medicinam
Visita le Profondità della Terra, e rettificando troverai la Pietra Occulta, vera medicina

Le iniziali delle parole del famoso apoftegma, ricordando in anticipo che la u vocale e la v consonante si confondevano, lette di seguito, danno il nome del risultato preziosissimo Vitriolum. In effetti se noi riprendiamo nei cinque viaggi del rituale di passaggio la successione degli strumenti che sono portati di volta in volta, vediamo che nei primi quattro essi sono:

  • un Maglietto e uno Scalpello, cioè Fuoco;
  • un Compasso, cioè Aria;
  • una Cazzuola, cioè Acqua;
  • una Squadra, cioè Terra.

L’Apprendista ha ripercorso, questa volta in senso inverso, il cammino dei quattro elementi, per ritornare in seno a quella Terra da cui era partito, per visitare le profondità e trovarvi il tesoro racchiuso. Questo è rappresentato, nel quinto viaggio, dal Pentalfa o Stella Fiammeggiante, antichissimo simbolo del Vitriolo dei Saggi che, essendo una perfetta ed equilibrata combinazione di spirito e materia, comporta che in questo grado la squadra ed il compasso siano interconnessi.

A proposito dì questa Stella, che è il vero sigillo canonico dell’Opera, dovremmo spiegare il significato della lettera G che sta nel mezzo. Già Fulcanelli dice, in un capitolo che è una curiosa mescolanza di invidia e carità, che questa lettera è l’iniziale del nome volgare della materia che il filosofo operativo deve scegliere per compiere la sua Opera. Di più evidentemente impossibile dire, senza cadere in una divulgazione inutile e pericolosa. Possiamo tuttavia aggiungere alle parole del prestigioso Adepto che, essendo questo simbolo tra i più antichi, la parola va evidentemente cercata in una lingua che non è probabilmente più tra quelle vive, e forse nemmeno nel nostro alfabeto, anche se la struttura della lettera resta la stessa. Suggeriamo allora al volonteroso di guardare nei testi dei Berthelot, e gli assicuriamo che il tempo dedicato, se sarà attento e paziente, non andrà sprecato.

Infine, per completare brevemente il commento su questo grado, notiamo che il segno fa evidentemente riferimento all’operazione di estrazione dal centro, cioè dal cuore, di qualcosa che viene reso visibile. Semmai è proprio in una particolarità di questo segno, che ritroveremo in un momento importante dell’elevazione al grado di Maestro, che è racchiuso il trucco che permette di riuscire con estrema semplicità nell’operazione. Il Vitriolo, se è ottenuto correttamente, assume una splendida colorazione verde che lo ha fatto chiamare anche Smeraldo dei Filosofi, e che si dice fosse il colore del Santo Graal. Di conseguenza, per quanto si è detto prima, questo è evidentemente il colore del grembiule del grado.

Giunto a questo punto della pratica l’Artista ha eliminato il carceriere che teneva strettamente imprigionato l’oro dei filosofi, e che Basilio Valentino chiama molto opportunamente Saturno. Può quindi, senza altri impedimenti, procedere alla liberazione del Solfo.

Per il suo stesso carattere di estrazione dal seno della terra, e poiché questa operazione incomincia con una seconda Putrefactio, gli antichi Maestri ne hanno sempre parlato come di un’uscita di un resuscitato dalla tomba e hanno spesso insistito, a questo proposito, sulla necessità di "rivivificare il morto". In effetti, morto e seppellito profondamente nella terra, Hiram rappresenta positivamente quell’anima metallica, di cui il ramo d’acacia ricorda simbolicamente il carattere aureo e che, vero Spirito Universale corporificato, può essere liberato dal suo sepolcro con una lunga e difficile serie di operazioni, definite sublimazioni, in cui si riassume tutta la Seconda opera ermetica.

Queste furono anche chiamate Aquile da alcuni Maestri, in particolare da Filalete, perché il rapace dedicato particolarmente a Giove, e quindi all’elemento Aria, ben rappresenta l’azione attrattiva del Mercurio dei Saggi che solo può captare e impadronirsi del minuscolo seme che non tarderà, una volta liberato dalle tenebre, a diventare per semplice cottura – ludus puerorum – nel vaso appropriato, la splendida gemma della terza opera.

Di questo nome e di questo simbolo resta nel rituale di elevazione la presa di Maestro ad artiglio, che sola può risollevare dalla tomba il corpo putrefatto. È vero che in questa operazione il Mercurio dei Saggi deve essere aiutato, così come lo è il Maestro venerabile, da due attori presenti nell’Opera.

Questa serie di operazioni, se condotte a buon fine, sono davvero il segno della Maestria, sono il Magistero, come si chiamò sempre in Spagiria e in farmaceutica l’estrazione e l’ottenimento della Quintessenza di un corpo. A questo riguardo l’adepto inglese ci dice:
Scia Frater, quod exacta Aquilorum philosophorum paeparatio, primus perfectionis gradus censetur, in quo cognoscendo ingenium requiritur habile | Sappi Fratello che l’esatta preparazione delle Aquile dei Filosofi è considerata il primo grado di perfezione, per conoscere il quale si richiede un ingegno abile [Introitus, op. cit., ibidem]
Poco più avanti aggiunge:
Intellige ergo, frater, Sophorum dicta cum scribunt, aquilas suas ad leonem vastandum esse ducendas, quarum quo parcior numerus, eo gravior lucta, tardior item victoria, paestantissime autem opus perfici septenario numero aut noveno | Comprendi perciò, fratello, i detti dei Sofi, quando scrivono che bisogna condurre le aquile a divorare il leone, delle quali tanto minore è il numero, tanto più dura la lotta, tanto più tarda la vittoria, peraltro l’operazione è compiuta in modo eccellente dal numero sette o nove [Introitus, op. cit., ibidem]
E sette sono infatti i Maestri mandati alla ricerca di Hiram nel rituale attuale, mentre – senza contraddizione con la pratica – si leggeva in un catechismo più antico:
«Che significano le nove stelle?»
«Il numero dei maestri inviati alla ricerca di Hiram»
[Instructions ctc., op. cit.]
Coerentemente con i gradi precedenti il grembiule si tinge di rosso sulfureo, mentre finalmente lo Spirito – il compasso – si è innalzato sulla materia, la squadra, e la domina perfettamente fissato. L’artista, il Maestro Massone, ha ritrovato l’acacia. Emulo di Ulisse, di Enea e di tutti i veri iniziati, è penetrato nella Camera di mezzo e ha colto il ramo d’oro, il Moly, la Bovissa, il Baraas, la Lunaria, infine il tanto prezioso Oro dei Filosofi che tuttavia:
est enim nondum Lapis, at Sulphur nostrum verum | non è ancora la pietra, ma il nostro vero Solfo [Introitus, op. cit., cap. XIX]
E poiché qui termina il rituale massonico, vediamo che esso non completa l’insegnamento, ma si arresta sulla soglia della Terza opera senza nemmeno accennarvi. Esiste in realtà nei “cinque punti della Maestria” un ben preciso suggerimento per la preparazione della Materia prima della cottura finale, ma nulla di più.

Peraltro le nostre ricerche sui cosiddetti “gradi alti” dei riti più noti non ci hanno permesso di trovare qualcosa di diverso. Tutti, a cominciare dall’Arco Reale per finire col trentatreesimo e ultimo grado del Rito Scozzese, ripercorrono gl’insegnamenti già dati, senza nulla aggiungere a quanto di positivo gli antichi maestri avevano profuso con tanta sapienza e semplicità.

Ne deduciamo, come conclusione logica e comprensibile, che le istruzioni più segrete fossero trasmesse in una forma più occulta, a quei pochi che avessero già penetrato il valore di queste, nell’unico modo tradizionale possibile, e cioè oralmente. E ci riferiamo anche agl’insegnamenti sulla parte parziale dell’Opera, a quella preparazione che rende le materie vive e filosofiche, senza la quale non sarebbe possibile sperare in alcun risultato.

E in questo non possiamo che lodare la saggia prudenza degli Antichi che forse prevedevano che il tanto decantato “Segreto Massonico” non sarebbe rimasto a lungo conservato nei Templi.

Abbiamo dunque esaminato i rituali della Libera Muratoria alla luce delle operazioni della Grande Opera, così come le abbiamo apprese dall’insegnamento del nostro maestro Eugène Canseliet F. C. H. – unico discepolo di Fulcanelli – e parzialmente verificate nel nostro laboratorio. Il risultato ci sembra così perfetto, nella sua corrispondenza biunivoca, che concludendo non possiamo evidentemente esimerci dal rispondere ad una domanda naturale. Pensiamo veramente che tutto il rituale massonico sia di origine alchemica, ed abbia come scopo la trasmissione di insegnamenti ermetici operativi? Diciamo subito che se abbiamo qui spesso usato l’opera maggiore di Eireneo Filalete, ad esemplificare alcune affermazioni, è proprio perché sappiamo che l’Adepto che operò in Inghilterra nella prima metà del XVII secolo ebbe rapporti e contatti con alcuni dei primi massoni “speculativi”.

In altra sede abbiamo già detto e cercato di dimostrare la nostra opinione, sempre fondata su documenti, che il movimento Rosacrociano tedesco sia stato all’origine dell’esoterismo massonico quale lo conosciamo oggi. Infine, e crediamo di averlo indicato con questo breve studio, la successione ci sembra al di là di qualunque probabilità casuale. E, per brevità, non ci siamo soffermati su tutti i punti del rituale, come sarebbe stato possibile. Dunque, potremmo rispondere affermativamente, ma preferiamo attendere, con la massima disponibilità, che qualcuno ci dia di tutto ciò un’esegesi altrettanto completa, ma difforme. Sino ad allora, ma è evidentemente un valore personale, restiamo nella convinzione che ancora una volta sia confermato il vecchio assioma della Scienza Sacra, da Eliopoli ai giorni nostri:

Quod ubique, quod ab omnibus, quod semper.

UN CHIARIMENTO DOVEROSO

A proposito del mio piccolo saggio dal titolo “Muratoria e Arte Regia”, comparso recentemente su Zenit, e quindi su Hiram (1/2000) sento il bisogno di precisare alcuni punti.

Innanzitutto ricordo che fu scritto molti anni fa, quando certamente l’emozione del neofita che muoveva i primi passi su una via entusiasmante, anche se molto impervia, sicuramente spiegava, anche se non giustificava, un atteggiamento un po’ dogmatico.

È un fatto ben noto che ogni tanto, nel corso della nostra vita di ricerca della “Verità”, raccolto un barlume di luce, o di qualcosa che gli somigli, la prima terribile tentazione sia quella di intraprendere una carriera missionaria per andare a spiegare agli “infedeli” le nostre sublimi conoscenze. Atteggiamento per lo più pericoloso se si considerano quanti dolori ha causato al mondo, e che si può perdonare solo con la buona fede di chi lo pratica, ma che appare ben poco compatibile con l’operare per “il bene dell’umanità”. Con gli anni, e un minimo di onestà intellettuale, dovrebbe intervenire una certa prudenza ad addolcire quello che sembrava tanto certo ed evidente.

Tornando al saggio in questione, cercando di praticare questa virtù di prudenza, che peraltro non mi è particolarmente congeniale, innanzitutto devo onestamente avvertire chi l’avesse letto che le descrizioni della Grande Opera fisica di alchimia, anche se sostanzialmente esatte a parte qualche imprecisione di linguaggio, non vanno prese troppo alla lettera.

La confusione tra le possibili vie operative, umida, secca e breve, volutamente e sapientemente mescolate dai Maestri, qui lo sono casualmente e grossolanamente: il simbolismo resta corretto, ma rischia di creare più incertezza che utile chiarimento.

In secondo luogo, per quanto riguarda il rituale massonico, va detto che anche ad un approfondimento solo parziale della sua evoluzione e distribuzione geografica, appare evidente che non è così omogeneo come mi appariva all’epoca.

In realtà nella Massoneria moderna è presente un insieme di tradizioni culturali, di cui l’Ermetismo non è che una delle componenti, e nemmeno sempre la principale. Non si possono certo negare le influenze, per citarne solo alcune, della Kabbalah ebraica, della teurgia, dello gnosticismo, della tradizione cavalleresca, della speculazione teologica cristiana, dell’illuminismo razionalista, dello scientismo positivista, per non parlare del vero e proprio simbolismo dei costruttori operativi.

Nel XVII e XVIII secolo, da Locke a Voltaire a Cagliostro, per citare gli estremi, sembra che nelle Logge siano confluite tutte le anime dell’intelletto occidentale, ognuna con la sua visione del mondo, ognuna con la sua ricetta per comprenderlo e migliorarlo, e non è uno dei più piccoli misteri della Libera Muratoria il fatto che tutte siano riuscite a convivere in una specie di “Casa Comune”, senza contrasti, davvero fraternamente, anzi talvolta sorreggendosi a vicenda.

Per cui quella specie di sfida finale che, più giovane e trascinato dall’innamoramento per quella che mi parevano scoperte indiscutibili, lanciavo alla fine del saggio, saprei oggi io stesso affrontarla con un esame più completo e meno superficiale dei rituali. Tra l’altro scoprendo, come può fare chiunque, che nei cosiddetti “Alti Gradi” dei diversi Riti massonici stanno infinite ricchezze di insegnamento che non si possono certo liquidare rapidamente. 

Infine, una precisazione davvero importante, e che mi sta particolarmente a cuore, riguarda i miei rapporti con Eugène Canseliet. Sia ben chiaro che in nessun caso io desidero proclamarmi “allievo” del discepolo di Fulcanelli. Il buon Maestro di Savignies ha certo voluto onorarmi con la sua amicizia e regalarmi qualche utile consiglio: questo è tutto quanto si può dire.

Un sapiente aforisma taoista afferma che non ci si dovrebbe mai proclamare allievi di un Maestro, a rischio di fargli fare meschina figura se non si è alla sua altezza. È probabilmente quello che stava per accadere. Spero che Canseliet, dovunque si trovi, abbia perdonato le intemperanze di un apprendista che non aveva ancora imparato a praticare il “silenzio”.

Paolo Lucarelli